CIOCIARIA: ALLA SCOPERTA DI UNA TERRA DI TRADIZIONI E SAPORI INTENSI
Immergiamoci in un emozionante viaggio in questa regione dai confini sfumati e dalle forti contaminazioni che le hanno donato un carattere tenace e deciso, proprio come i suoi usi e costumi e soprattutto come i suoi gusti in fatto di tavola.
Siamo nella terra dei mitici Ciclopi e di San Benedetto, sede di alcune tra le più imponenti acropoli d’Italia, di immense e suggestive abbazie e di antiche dimore papali e castelli in cui si respirano ancora le atmosfere Medievali. In questa “regione storica” situata nel cuore del Lazio, al confine con Campania, Abruzzo e Molise, a metà strada tra Roma e Napoli, risiedono poi alcuni dei borghi più belli d’Italia e Paesi Bandiera Arancione. Questa è davvero la meta ideale per chi vuole immergersi in atmosfere antiche riscoprendo suggestive tradizioni e gustando prodotti e una cucina del territorio popolare e creativa al tempo stesso.
LA TRADIZIONI DELL’ARTIGIANATO LOCALE
Ciociaria, il nome di questa terra unica e suggestiva, senza limiti geografici ben definiti è strettamente legato alle calzature laziali dette “ciocie”, un chiaro esempio dell’antichità dell’artigianato locale. Si tratta di un tradizionale calzare usato dai pastori, forse il primissimo prodotto dell’artigianato ciociaro. Negli ultimi secoli sono state per eccellenza le calzature autocostruite più economiche; realizzabili con pelli bovine, ovine, suine, bufaline ed asinine, naturali o conciate, erano robuste e adatte per camminare su campi lavorati e su percorsi impervi, nonché resistenti a lavori usuranti, come la vangatura. La ciocia si fabbrica con un pezzo quadrato di pelle, nei buchi viene infilato uno spago che avvolge il piede in modo che il sandalo si assottiglia verso la punta e termina con una curva; la gamba viene avvolta fino al ginocchio con tela grigia e ruvida, legata con molti spaghi di corda o di filo. Nella loro costruzione erano impiegate lesine o coltelli per il taglio del cuoio e la sgorbia, scalpello a lama per praticare fori rettangolari o ovali, uguali tra loro, per il passaggio delle stringhe.
In antico, al posto delle stringhe, si usavano spaghi, cordicelle o fettucce. Sotto il plantare erano inseriti, con chiodi artigianali, due rinforzi (taccuni) di cuoio sui quali si applicavano le bollette, chiodi molto corti e dalla testa ampia e bombata con funzione antiusura e antisdrucciolo. Corredavano le ciocie i calzettoni di lana, utili contro il freddo e il morso delle vipere, ricoperti da panni di canapa o di lino; i pastori, per difendere le gambe dai rovi e dall’acqua, indossavano il guardamacchia: una pelle di capra dal lungo pelame, posta sopra i calzoni e legata alla cintura e ai polpacci. Arpino è il paese che ancora oggi le produce artigianalmente, motivato dal “Gonfalone” che ogni anno, in agosto, le vuole calzate per la sfilata in costume ciociaro.
LA CUCINA POPOLARE
La Ciociaria è terra ricca di eventi popolari, sagre a carattere ludico, gastronomico e musicale. Sono molto sentiti i festeggiamenti in onore dei Santi Patroni, con processioni, esibizioni di bande musicali, giochi popolari, cortei storici e tornei tra contrade. Tra le principali manifestazioni culinarie vanno citate la Sagra del pollo e peperone a Isola del Liri, la Sagra delle lumache a Castro dei Volsci, la Sagra della frittella a Paliano, la Sagra della crespella a Veroli e Vino in Festa a Paliano.
La cucina tradizionale ciociara è espressione della cultura contadina locale per tradizione è accostata alla cultura contadina e ad un tipo di cucina “povera” ma allo stesso tempo gustosa e robusta perché si sa che i contadini hanno bisogno di tante energie per fare un lavoro così faticoso.
È fortemente basata sulle risorse agricole del territorio, adatto a coltivazioni di cereali, ortaggi, vigne e soprattutto ulivi. Simile per alcuni aspetti alla "cucina povera" romana, da cui prende l'uso del "quinto quarto", la cucina tradizionale ciociara si è arricchita di preparazioni introdotte dalle varie dominazioni pontificia, francese, spagnola e dalle regioni con cui confina (Abruzzo, Campania e Molise).
Per quanto riguarda i primi piatti di preparazione tipica, molto diffuse sono zuppe, brodi e minestre così come le paste fresche, acqua e farina o con uovo, spesso accompagnate da fagioli, ma anche ottimi sughi di carni miste o di funghi porcini.
I secondi variano dal bollito, alla carne al forno o alla brace, con prevalenza maiale, ma anche pollo, agnello e cacciagione da piuma. In alcune zone della ciociaria è tradizionale la pecora al sugo, la coratella con cipolla, abbacchio scottadito e arrosticini di pecora.
Nel campo dei formaggi la Ciociaria offre tanta qualità dalla tradizione pastorizia, nelle varietà di gusto e caratteristiche legate alle diverse zone di allevamento: da quello dei bovini per la produzione di latte vaccino, soprattutto di bufala, per la preparazione delle mozzarella e della ricotta di bufala DOP ad Amaseno.
Gli ortaggi sono coltivati da piccoli produttori locali. Da menzionare il peperone a cornetto DOP di Pontecorvo, il fagiolo cannellino DOP di Atina, i peperoni sotto vinaccia, i broccoletti e le zucchine. Molto diffuso è l'utilizzo di erbe selvatiche come la cicoria o la cassella.
Il vino è immancabile nella cucina tradizionale. Sebbene in ciociaria siano presenti DOC (Cesanese del Piglio DOCG e Passerina del Frusinate), il vino tradizionale è plurivitigno, da citare in questo caso sono i vini Anagni IGP e Atina DOP. Bianco, predominante con malvasia, quindi secco, aromatico e carico di colore, o rosso, varie uve, secco e fortemente ricco di tannini (astringente).
Per quanto riguarda i dolci tradizionali ve ne sono di diverse tipologie. Secchi, come gli Amaretti di Guarcino, le ciambelle al vino, i tozzetti, i susamielli e, in generale, dolci a base di pasta frolla a cui viene tradizionalmente sostituito il burro con lo strutto, come le crostate (particolare è quella con marmellata di visciole), le pastiere e i pasticcetti.
LA PASTE FRESCHE
Senza alcun dubbio tra i piatti tipici della Ciociaria spiccano “le Sagne”, un tipo di pasta fresca della che ha come condimento una salsa fatta con fagioli cannellini DOP di Atina, cotenna e pomodoro.
Per preparare l’impasto si usano acqua e farina lavorati energicamente a mano per ottenere una pasta molto dura, che viene poi stesa con un mattarello per formare una sfoglia un po’ spessa dalla forma rotonda.
Quando la sfoglia si è asciugata completamente, la pasta viene infarinata, arrotolata e con un coltello si fanno tagli trasversali, i cosiddetti “maltagliati”.
Infine la pasta viene insaporita con un sughetto fatto con soffritto di cipolle, aglio, sedano, salsa di pomodoro, peperoncino e i cannellini, precedentemente lessati.
Le Sagne sono da servire in una zuppiera di terracotta…così vuole la tradizione.
Curiosità: si dice che questo tipo di pasta favorisca la produzione di latte nelle donne in allattamento.
FINI FINI
Altro prodotto tipico imperdibile, in occasione di un viaggio in questa regione, sono i Fini Fini, una pasta fresca il cui nome deriva dall’estrema sottigliezza della sfoglia.
Per prepararli si usa il palmo della mano per creare un impasto consistente e liscio, a cui dare la forma di un panetto che dovrà poi riposare in un panno umido per un’ora circa.
In seguito si usa il mattarello per tirare una sfoglia, da avvolgere poi su sé stessa; fatto ciò si tagliano dei fini fini di circa 2 mm di larghezza.
Per quanto riguarda il condimento per rispettare la tradizione è necessario preparare il ragù ciociaro con le ‘rigaje’ (scarti) del pollo e alla fine una spolverata di pecorino.
Si tratta di una delle ricette più antiche di tutto il Lazio meridionale, uno di quei piatti che si tramanda di generazione in generazione.